La nascita di una nazione
di Maria Rosa Mazzola
Nella seconda metà del secolo XIX, in Europa, nasce una nuova nazione: l’Italia.
Formalmente e istituzionalmente l’Italia fu dal 1861 e poi con maggiore totalità , dal 1870, quello che erano già la maggior parte degli Stati europei di allora: un complesso di elementi dotati ovunque sul proprio territorio delle medesime funzioni, leggi e istituzioni con la tendenza ad organizzare, in modo unitario, la maggior parte di coloro che parlavano italiano, tutti rappresentati in modo alquanto omogeneo da un esercito, una scuola, un sovrano e un Parlamento.
Altre due grandi etnie europee avevano conseguito, più o meno nello stesso periodo, lo stesso risultato di unità nazionale: la Grecia e la Germania.
Con qualche differenza, però tale da far meglio comprendere la particolarità del nostro caso.
La Grecia era stata, per secoli, tutta sottomessa alla dominazione ottomana: aveva conosciuto molto meno dell’Italia frammentazioni e particolarismi. Essa, inoltre, aveva mantenuto due forti elementi di unitarietà: la lingua e la religione (greco-ortodossa), due influenti fattori che, sotto il dominio ottomano, erano stati protagonisti di resistenza e di spinta all’unità nazionale. Quando, nel 1830 con l’aiuto delle grandi potenze Francia, Inghilterra e Russia, fu proclamata l’indipendenza della Grecia, essa diede origine ad un paese fragile, politicamente insicuro ed economicamente sfiancato ma senza gravi problemi di identità nazionale.
L’unità tedesca nacque sotto il segno dell’egemonismo prussiano. Questo fatto, avrebbe provocato, più avanti gravi e profondi ricadute, ma nell’immediato, ebbe l’effetto di cementare in un blocco unico le classi sociali tedesche. Inoltre, la religione protestante che usava la lingua tedesca e aveva avvicinato le fasce della popolazione continuava ad esercitare un potente effetto di coesione nazionale, più che da noi dove si leggevano i libri sacri ancora in latino. Inoltre il fattore di alfabetizzazione delle popolazioni di lingua tedesca, più elevato che da noi, contribuiva anch’esso alla unitarietà culturale.
La nascita della nazione Italia faceva parte di quel processo di reazione alle logiche e ai sistemi della Santa Alleanza che cercavano di imporre ai popoli principi estranei alla loro più profonda identità (l’indiscutibile legittimità dei sovrani, il rispetto assoluto della religione, il carattere inviolabile e indiscutibile delle istituzioni).
Gli Italiani provarono orgoglio per la riconquistata unità e indipendenza e per essere considerati, finalmente, a pari dignità con le grandi potenze europee, ma ebbero altrettanto presto la percezione della gravità dei problemi da affrontare: a cominciare dalla scelta della città capitale per continuare con tutte le questioni di carattere socio-culturale.
In primo luogo il divario fra Nord e Sud, la cosiddetta questione meridionale e in secondo luogo l’urgenza di alfabetizzazione e scolarizzazione dell’intera popolazione nazionale. Popolazione semianalfabeta, distinta nella lingua da tanti dialetti e senza coscienza nazionale.
Prima ancora che vi riuscisse la scuola unica e obbligatoria a rendere uniti culturalmente e con coscienza di nazione le varie comunità dei paesi dell’Italia vi riuscì in modo quasi inconsapevole la Musica. Musica e teatro come scuola per un popolo semianalfabeta. Sin dagli anni Venti dell’Ottocento i librettisti di Rossini e Donizetti, ignari di quanto sarebbe poi accaduto, si vedevano attribuire intenzioni politiche ogni volta che citavano la parola “patria”, “popolo”, “tiranno” e così via. L’alleanza tra arte e politica divenne quasi automatica dopo il Quarantotto: il canto patriottico e le opere ispirate al sentimento patriottico servirono alla causa nazionale.
Se la diffusione delle idee risorgimentali ebbe la stampa come mezzo di comunicazione principale per gli intellettuali, l’opera lirica si incaricò, in quanto forma d’arte «popolare», di diffondere, grazie alle parole del libretto non meno che in forza delle note musicali, il verbo patriottico, caricando di significati le parole «libertà» (dallo straniero), «patria», «unità» (dell’Italia), «Dio». Questi termini ebbero decisiva importanza (insieme a «onore» e «gloria») nel vocabolario dei poeti, da una parte, e nel glossario dei censori dall’altra. Il teatro d’opera fu il luogo, pur nella variopinta stratificazione sociale (platea, palchetti, loggione), dove le idee risorgimentali trovarono terreno fertile per svilupparsi.
E se il pieno sviluppo giunge con la figura di Giuseppe Verdi, esponente conclamato del risorgimento musicale, ancora prima di Verdi e dopo, gli ideali patriottici ebbero modo di esprimersi attraverso le musiche di altri compositori insospettabili in questa veste e spesso ignari di tale responsabilità.
Il melodramma fu il vero specchio della società ottocentesca, dalla nobiltà alla borghesia grande e media al basso ceto come una vera e propria “vetrina sociale” rappresentativa e «popolare» dell’epoca.
Non meno importanti furono e sono ancora i canti popolari che hanno sostenuto la lotta per l’Unificazione e i canti di lode alla patria Italia degli anni successivi.